L’esito del voto porta con sé il rischio che la più grande nazione musulmana moderata si trasformi in una vera e propria autocrazia. I timori dietro all’elezione dell’attuale ministro della Difesa Prabowo Subianto.
Bangkok. “Sì, l’Indonesia può anche essere una ‘pseudo democrazia’. Ma io domani posso tornare a Giacarta a votare, senza paura”, ha detto Kharisma Nugroho, un intellettuale indonesiano, a Bangkok alla vigilia del voto. Il giorno seguente oltre 200 milioni di elettori hanno votato per eleggere il presidente e il vicepresidente del quarto paese al mondo per popolazione. “È vero. Per ora torna a Giacarta senza problemi. Ma potrà ancora farlo?”, commenta Lia Sciortino Sumaryono, direttrice del centro studi Sea Junction di Bangkok, prima ancora che si chiudano i seggi. In queste battute si sintetizza il significato del voto, gravato dal peso di una serie di definizioni ripetute con enfasi. L’Indonesia è definita la terza democrazia al mondo (dopo India e Usa) e la più grande nazione musulmana moderata. Il voto di oggi è un test dell’integrità di queste definizioni. Secondo Sciortino, che non crede in tali definizioni “perché la democrazia non è tale se non c’è opposizione”, il rischio è che la “pseudo democrazia” indonesiana si trasformi in una vera autocrazia. Un rischio materializzato nel risultato delle elezioni.